Nello scorso articolo abbiamo parlato dei due diversi tipi di cellule che compongono tutti i viventi e della varietà di dimensioni che troviamo nel micromondo. In questo articolo, invece, parliamo solo di batteri, e scopriamo come differenziarli, per forma e per colore.
Le differenze fra i batteri: una questione di forma…
I batteri possono avere tre forme base: sferica, cilindrica e ricurva. Sono solo tre forme, ma è curioso osservare come queste vengano declinate in molte varietà, raggruppandosi tra loro. Per esempio: due batteri rotondi, chiamati cocchi, possono stare in coppia. E allora li si chiama diplococchi. Se però li troviamo in catenelle più o meno lunghe si parla di streptococchi. Sono sicuro che questi li avete sentiti nominare, vero? Magari in relazione a qualche mal di gola frequente nei bambini. Altrettanto famosi, sempre per cose poco carine, sono gli stafilococchi. In questa categoria rientrano i batteri, sempre dalla forma rotondeggiante, che stavolta stanno insieme a formare dei piccoli “grappoli” di cellule. Completano la sfilata dei batteri sferici le tetradi, cioè gruppi di quattro cellule, e le sarcine, cioè dei pacchetti di otto cellule, disposte a cubo.
I batteri di forma cilindrica, come dei corti bastoncini, si chiamano bacilli. E indovinate un po’ come li chiamiamo se si trovano a coppie o a catenella? Esatto: diplobacilli e streptobacilli. Quelli un po’ indecisi, che sono un po’ cilindrici ma non troppo, sono invece i coccobacilli: una via di mezzo, insomma.
I batteri ricurvi invece sono di tre tipi: se sono dei bastoncelli solo leggermente incurvati si chiamano vibrioni. Se sono molto ricurvi, come un cavatappi, sono spirilli. Se invece hanno tantissime spire, come un vecchio cavo del telefono, sono spirochete.
Queste che vedete nel disegnino qui sopra sono le forme principali ma ne esistono anche a forma di quadrato, di stella, oppure batteri filamentosi, batteri con peduncoli, batteri che cambiano forma… insomma, il (micro)mondo è bello perché è vario!
…e di colore?
Tendenzialmente i batteri non sono particolarmente colorati, a meno che non contengano dei pigmenti, come ad esempio le clorofille o i carotenoidi. Questi composti colorati possono essere usati per fare la fotosintesi (eh sì: mica solo le piante la fanno!) o per proteggere la cellula dalle radiazioni. Tipo crema solare, insomma. Visto che non sono tantissimi i batteri colorati, come si può usare il colore per classificarli?
Torniamo al lontano 1884. Il medico danese Hans Christian Gram si trovava a Berlino nel laboratorio del microbiologo Carl Friedländer. Stava lavorando sulla polmonite, che all’epoca mieteva ancora molte vittime e la cui causa non era ancora del tutto chiara. Per poter vedere più chiaramente i batteri che erano i principali sospettati della malattia, Gram inventò una nuova tecnica di colorazione che consentiva di mantenere i batteri ben visibili, decolorando però le cellule dei polmoni e tutto il resto del campione. Questo metodo per colorare i batteri oggi si chiama colorazione di Gram, in suo onore.
Quello che il nostro caro Gram non poteva immaginare, però, è che questa sua colorazione sarebbe stata usata per tantissimo tempo per dividere il variegato mondo dei batteri in due gruppi: i batteri Gram-positivi e i batteri Gram-negativi. I batteri Gram-positivi si colorano di viola, e mantengono il colore anche se si cerca di decolorarli con alcol. I batteri Gram-negativi, invece, con il passaggio in alcol perdono completamente il colore viola, e ritornano incolori. Per essere visti, quindi, si utilizza di solito un secondo colorante che li rende rosa. Ricapitolando: positivi viola, negativi rosa.
La cosa straordinaria, e quella più utile per chi classifica batteri, è che le differenze nella colorazione riflettono in realtà differenze nella struttura della cellula stessa. I batteri Gram-positivi sono delimitati infatti da una sola membrana cellulare, al di fuori della quale presentano una spessa parete batterica. Una specie di cappotto pesantissimo da mettere nei giorni più freddi. I batteri Gram-negativi, invece, si vestono a strati: hanno due membrane cellulari e, in mezzo a queste, una parete batterica molto sottile. Nella figura seguente provo a farlo vedere in modo semplice.
In base alle caratteristiche dei loro rivestimenti esterni, quindi, le due categorie di batteri rispondono in modo diverso ai coloranti, e vengono perciò classificati in due gruppi distinti.
In questa foto, che ho scattato al microscopio ottico, potete vedere batteri Gram-positivi e Gram-negativi presi da un campione ambientale, ingranditi oltre 1000 volte. Riuscite a riconoscerli?
Tutti i batteri di interesse alimentare, come i fermenti lattici e i probiotici che trovate nella nostra INgredients Town, sono Gram-positivi. A volte, i batteri Gram-negativi sono guardati con diffidenza, come se fossero più pericolosi o più patogeni rispetto ai Gram-positivi. Certo, la loro membrana più esterna contiene una sostanza che scatena forti reazioni immunitarie nel nostro corpo.
Però un bell’esempio di convivenza fra batteri Gram-negativi e esseri umani è il nostro intestino, dove vivono miliardi di Escherichia coli – Gram-negativo per eccellenza – ma senza causarci danni. Allo stesso modo, anche alcuni Gram-positivi possono essere pericolosi patogeni, basti pensare ai batteri che causano l’antrace, il tetano o il botulismo.
Quindi, come sempre, anche con i batteri meglio non fare di ogni erba un fascio, ma valutare caso per caso!