Quando si parla di cibo si usano molti modi per descriverlo: la consistenza, la provenienza, il profumo, le calorie, la composizione nutrizionale e persino la storia. Molto più raro per farlo è invece usare le proprietà fisiche della materia, quelle che ci riportano alla prima o seconda liceo, nel laboratorio di scienze, a compilare relazioni per metà scopiazzate con formule e procedimenti.
Ve lo ricordate il pH?
Le cartine tornasole da bagnare con una goccia di soluzione, il colore che cambiava, e la scala cromatica a cui confrontarlo in cui ogni tonalità corrispondeva a un certo grado di acidità?
E se vi dicessi che tutti gli alimenti hanno un pH? E che questo influisce sulle loro caratteristiche?
Certo, a pensarci meglio forse risulta banale, ma sono certa che in pochi sappiano qual è il pH degli alimenti che compriamo tutti i giorni e in che modo questo valore influisce su ciò che mangiamo.
In questo articolo esploreremo questa grandezza fisica, scopriremo il suo ruolo nel cibo e impareremo come misurarlo con semplici esperimenti nella nostra cucina. Scopriamo insieme questo mondo!
Indice articolo
Il pH è una misura dell’acidità o basicità (alcalinità) di una sostanza. La scala va da 0 a 14, dove 0 rappresenta la massima acidità, 7 è la neutralità e 14 è la massima alcalinità. Il valore del pH indica quanto è la concentrazione di ioni H+ liberi in una sostanza: maggiore è l’acidità pH<7, maggiore sarà la presenza di H+ e minore sarà il valore del pH ad esempio l’acido cloridrico, la cui formula è HCl, ha un pH del valore di 0.
Fu il chimico danese Søren Peter Lauritz Sørensen, che insegnava all’università di Copenaghen e che, a partire dal 1901, divenne direttore del laboratorio Carlsberg.
No, non è un caso e sì, c’entra la birra! Proprio in quel dipartimento di chimica, infatti, alcuni anni prima era stato isolato il lievito impiegato per produrre le birre lager. A quel lievito fu dato il nome di Saccharomyces carlsbergensis, che fu poi modificato in Saccharomyces pastorianus.
In quei laboratori S.P.L. Sørensen introdusse per la prima volta il concetto di pH come unità di misura dell’acidità di una soluzione acquosa, che è data dalla concentrazione degli ioni idrogeno [H+], e questo è il motivo per cui la H va sempre scritta in maiuscolo.
Per riassumere: maggiore è l’acidità, maggiore sarà la presenza di H+ e minore sarà il valore del pH.
Conoscere quanto sia alta o bassa la concentrazione di H+ è essenziale dal momento che questi atomi sono in grado di interagire moltissimo con le altre sostanze che le circondano, permettendo addirittura reazioni chimiche e biologiche possibili solo a determinati valori.
Il pH è un parametro importante anche nel mondo della gastronomia.
Conoscere il pH dei cibi può infatti aiutarci a ottenere il giusto equilibrio di sapori, ma ha anche un importante ruolo nella conservazione degli alimenti. A seconda del grado di acidità o di alcalinità dell’alimento, prolifereranno più o meno microrganismi. Così come il tempo, la temperatura, i nutrienti, l’acqua e la salinità condizionano la shelf life dei prodotti alimentari anche il pH ha un’importante influenza sulla durata di conservazione. Lo vedremo meglio tra poco.
Il pH è il risultato della composizione dell’alimento stesso, di tutti i suoi ingredienti e di come interagiscono tra loro.
Sia le conserve gourmet che i piatti pronti combinano ingredienti diversi nello stesso contenitore, il che significa che esiste una gamma di pH. Per questo motivo è importante conoscere l’esatto valore di acidità della miscela.
Come abbiamo già detto, il pH degli alimenti varia da 0 a 14, ma va precisato che la maggior parte di essi si trova in un range tra pH 4 e 7.
Possiamo suddividere ulteriormente gli alimenti in categorie basate sul pH, correlandole al rischio per la sicurezza alimentare. È importante infatti considerare che i microrganismi crescono principalmente in ambienti meno acidi.
Sotto il pH 4,5 infatti la stragrande maggioranza dei microorganismi non riesce a crescere. Ecco perché nella lista degli ingredienti di alcuni prodotti a lunga conservazione troviamo spesso l’acido ascorbico, citrico o acetico che abbassando il pH aumentano di conseguenza la conservabilità dell’alimento.
Un esempio? I prodotti in barattolo come conserve e alimenti sott’olio, dove il rischio botulino è tutto fuorché da sottovalutare. Il Clostridium botulinum, che non può crescere a pH inferiori a 4,5, si presta ad essere preso come riferimento per classificare gli alimenti.
Fanno parte di questa categoria gli alimenti che hanno un pH superiore a 4,5 e vengono definiti “alimenti a bassa acidità”. Si trovano in questa categoria la maggior parte delle verdure e delle carni, che difficilmente superano il valore di 7,5.
Questi alimenti sono quelli a più alto rischio di contaminazione batterica: sopra al valore di 4,5 possono proliferare un gran numero di microrganismi come funghi, lieviti e batteri patogeni.
Si tratta di alimenti con un pH compreso tra 4 e 4,5, in cui il Clostridium botulinum non si riproduce.
Si tratta di alimenti con un pH pari o inferiore a 4. Questa categoria comprende agrumi, bacche (es. mirtilli, ribes, uva, ciliegie, lamponi), yogurt… le spore non crescono in questi alimenti, ma possono svilupparsi muffe, lieviti e batteri abituati ad ambienti acidi, detti acidofili.
Attenzione!
L’aggiunta di sostanze acidificanti non garantisce la conservazione degli alimenti per lunghi periodi di tempo. Per questo è essenziale sterilizzare o pastorizzare le conserve o i piatti pronti.
Ora che ci siamo fatti una cultura sul pH in cucina, è arrivato il momento di capire come misurarlo a casa come dei veri scienziati!
Il pH degli alimenti può essere misurato in due modi:
Consiglio: quando ci prepariamo a misurare il pH dobbiamo tenere conto anche della temperatura delle sostanze che intendiamo analizzare. Anch’essa influisce sull’acidità dei cibi! In generale, i campioni devono essere misurati a temperatura ambiente (20°C).
Siamo pronti!
Qui sotto trovate una lista di esperimenti da fare con la cartina tornasole e, più in basso, una chicca: un esperimento da fare con SOLO alimenti, uno dei quali… funge da indicatore!
NB: potete anche misurare il pH di alimenti solidi. Basterà scioglierli in una soluzione a base di acqua e prelevarne qualche goccia, appoggiarla su una cartina tornasole et voilà!
E se non abbiamo le cartine tornasole e vogliamo proprio provare a fare un esperimento con il pH?
Colpo di scena: la natura ci viene in aiuto!
Dovete sapere che ci sono molecole naturali, contenute in alcuni vegetali, che fungono da indicatori del pH. Sono le antocianine, appartenenti al gruppo dei flavonoidi. Per intenderci, parliamo di quella classe di composti che danno la colorazione viola alle melanzane e alla cipolla rossa, o al cavolo viola. Ma anche il colore blu ai mirtilli, all’uva, ad alcuni fiori.
Ebbene, queste molecole, se sciolte in acqua, cambiano colore a seconda dell’acidità della soluzione in cui si trovano! Provare per credere.
Di seguito ingredienti e procedimento per realizzare questa insolita “ricetta”
https://www.sinergica-soluzioni.it/blog/come-misurare-il-ph-degli-alimenti-n200
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