Nel 1680, un uomo dai modi eccentrici ma dalla curiosità sconfinata si chinava sul suo microscopio, uno strumento allora rivoluzionario ma ancora piuttosto rudimentale. Il suo nome era Antonie van Leeuwenhoek, mercante di tessuti olandese dalla smodata passione per le lenti. L’origine della sua attività ebbe luogo quando iniziò a costruire manualmente delle lenti per ispezionare i tessuti che commerciava. Con il tempo, perfezionando questa tecnica inizialmente grezza, si rese conto di riuscire a distinguere con chiarezza minuscole forme di vita appartenenti a un mondo invisibile all’occhio nudo. Questo sorprendente risultato accese in lui una profonda curiosità: iniziò così a dedicarsi con crescente interesse all’osservazione sistematica, realizzando confronti dettagliati, annotando meticolosamente le sue scoperte e illustrandole con precisione. Tutto iniziò osservando attentamente alcune gocce della propria saliva e delle feci: vide minuscole creature in movimento, mai viste prima da nessuno. Le chiamò “animalculi”, piccoli animali.

All’inizio, la notorietà di Leeuwenhoek era dovuta principalmente all’elevata qualità tecnica dei microscopi che costruiva artigianalmente, i quali risultavano nettamente superiori, sia in termini di precisione che di potenza di ingrandimento (fino a circa 270 volte), rispetto a quelli disponibili nel suo tempo. Egli riuscì inoltre a potenziarne ulteriormente le capacità introducendo innovative tecniche di osservazione, come l’uso di specchi concavi per riflettere la luce e l’impiego di fonti luminose artificiali, tra cui le candele.

Senza saperlo, Leeuwenhoek aveva appena aperto una finestra su un universo invisibile, popolato da miliardi di microrganismi che vivono dentro e intorno a noi. Aveva intuito, in anticipo sui tempi, che l’essere umano non è un individuo singolo, ma un ecosistema complesso. Da quel momento in poi abbiamo fatto molte altre scoperte affascinanti sui batteri nostri simbionti. Oggi chiamiamo quel mondo microbiota e abbiamo intuito ben presto come sia un tassello fondamentale della nostra salute, del nostro metabolismo, e persino del nostro modo di pensare.

Dalle malattie infettive alla simbiosi

Per oltre due secoli dopo la scoperta di van Leeuwenhoek, l’esistenza dei microrganismi rimase un fenomeno marginale. Solo nel XIX secolo, con il consolidarsi della microbiologia come disciplina scientifica, si cominciò a comprenderne davvero l’importanza. Louis Pasteur, con i suoi esperimenti sulla fermentazione e la pastorizzazione, dimostrò che i microrganismi non nascono spontaneamente “dal nulla”, ma provengono da altri microrganismi. Robert Koch, nel frattempo, riuscì a collegare specifici batteri a malattie come l’antrace, la tubercolosi e il colera, formulando i celebri “postulati di Koch”, la base della microbiologia clinica.

Questa prima fase fu dominata da una visione patogeno-centrica: i microrganismi erano semplicemente pericolosi, causa di malattie, nemici da combattere. Nacquero proprio in questo periodo i primi antibiotici e disinfettanti. Tuttavia, qualcosa non tornava. Alcuni batteri, infatti, sembravano convivere pacificamente con l’organismo umano. Anzi, erano addirittura indispensabili.

I primi indizi del ruolo del microbiota

Nel corso del Novecento, alcuni scienziati iniziarono a ipotizzare il ruolo benefico di alcuni batteri. Si scoprì, ad esempio, che il microbiota intestinale contribuisce alla digestione delle fibre, alla produzione di acidi grassi a catena corta e alla sintesi di vitamine come la B12 e la K. Studi pionieristici mostrarono che l’intestino umano contiene centinaia di miliardi di batteri, ma la tecnologia dell’epoca permetteva di coltivarne in laboratorio solo una piccola parte.

Il Progetto Microbioma Umano: la rivoluzione genomica

Tutto cambiò nel 2007, con il lancio del Progetto Microbioma Umano (Human Microbiome Project). Finanziato dal National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti, il progetto aveva un obiettivo ambizioso: mappare la totalità dei microrganismi che abitano il corpo umano, usando tecniche di sequenziamento del DNA avanzate, come il metagenoma shot-gun sequencing.
A differenza delle colture batteriche, il sequenziamento permetteva di analizzare direttamente il materiale genetico di tutti i microrganismi presenti in un campione, anche quelli non coltivabili. I risultati furono sbalorditivi: ogni individuo ospita oltre 1000 specie diverse di batteri, distribuite in nicchie specifiche del corpo (bocca, intestino, pelle, vagina, ecc.), con una varietà e un equilibrio unici.

La vera rivoluzione concettuale fu questa: il microbiota non è un semplice “ospite” passivo, ma una componente funzionale e dinamica del corpo umano, capace di influenzare profondamente la fisiologia.

Un ecosistema dentro di noi

Oggi sappiamo che il microbiota umano è coinvolto in una serie impressionante di funzioni:

  1. Digestione e metabolismo
    Il microbiota intestinale svolge un ruolo chiave nella scomposizione dei polisaccaridi complessi (come le fibre alimentari) e nella produzione di acidi grassi a catena corta, che hanno effetti antinfiammatori e contribuiscono alla salute del colon. Alcuni batteri producono enzimi specifici che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare, rendendoli essenziali.
  2. Barriera contro i patogeni
    Un microbiota sano esercita un effetto barriera, ostacolando la colonizzazione da parte di agenti patogeni. Questo meccanismo, noto come colonizzazione competitiva, è una delle prime linee di difesa del nostro organismo.
  3. Neurobiologia e asse intestino-cervello
    Uno degli ambiti più sorprendenti emersi negli ultimi anni è quello dell’asse intestino-cervello. Alcuni batteri intestinali regolano la sintesi o producono neurotrasmettitori come la serotonina, la dopamina e il GABA, influenzando il tono dell’umore, l’ansia, e persino la risposta allo stress. È in corso di studio il possibile legame tra disbiosi (alterazione del microbiota) e disturbi neurologici come la depressione e il Parkinson.
  4. Infiammazione e malattie croniche
    Un microbiota alterato è stato associato a un’ampia gamma di patologie croniche, tra cui obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e malattie infiammatorie intestinali (IBD). Non è ancora chiaro, in realtà, se la disbiosi sia causa o conseguenza di queste malattie, ma esiste un legame evidente tra queste condizioni.

Un equilibrio precario

L’equilibrio del microbiota è delicato e può essere alterato da molti fattori: dieta, antibiotici, stress, inquinamento, età, stile di vita. Una dieta ricca di fibre e alimenti fermentati sembra favorire la diversità microbica, ad esempio. Ogni perturbazione in questa fase può avere conseguenze a lungo termine. La comprensione sempre più profonda del microbiota sta aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche.

Non siamo individui solitari, ma superorganismi: il nostro corpo è un ecosistema integrato che include trilioni di cellule microbiche con cui conviviamo in simbiosi. Ed è sorprendente come tutto questo è iniziato quando un venditore di stoffe appassionato di lenti ha osservato la propria saliva al microscopio!

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